Il terzo appuntamento con “Road to mountains” ci ha permesso di tracciare prospettive nuove sul tema delle terre alte. Nel primo incontro abbiamo incontrato Gabriele Crudo e con lui indagato le difficoltà di portare avanti una piccola azienda nelle aree montane della Calabria, facendo fronte all’abbandono delle terre causato da una concorrenza spietata sui prezzi che ha reso difficile il ricambio generazionale creando una frattura sul territorio che lentamente si sta cercando di ricomporsi ricercando nuovi mercati, puntando sul servizio, su nuove tecnologie e sul turismo.
Con Carlo Mazzoleni la settimana successiva abbiamo affrontato una problematica diversa e cioè la difficoltà di far sopravvivere una tradizione casearia centenaria di fronte alle spinte di poteri economici più forti e di un sistema legato alle regole dell’agroindustria. Scoprendo però anche il valore che questa ribellione ha generato rendendo lo Storico ribelle (ex Bitto storico) conosciuto e ricercato in tutto il mondo.
Il terzo incontro ci porta in Centro Italia, in Abruzzo, ai piedi del Gran Sasso, a Santo Stefano di Sessanio, per incontrare Ettore Ciarrocca. Ingegnere meccanico per quindici anni nel 2014 decide di tornare ad occuparsi dell’azienda di famiglia nella quale da generazioni si coltivano le lenticchie. Furono i nonni a bonificare terre ostili per mettere a coltura la lenticchia. Il padre, di professione professore, ha proseguito nella loro coltivazione come attività di completamento del reddito. Grazie alle attività agricole e ai loro proventi una generazione intera ha potuto studiare, come Ettore. Il ritorno ha avuto una causa traumatica: il fallimento dell’azienda per la quale Ettore lavorava. Ma le conoscenze acquisite negli studi hanno permesso a Ettore di approcciarsi al mondo agricolo in modo diverso.
Il territorio nel quale Ettore è tornato nel frattempo era stato protagonista di una rivoluzione. A causa dell’abbandono negli anni 70 e 80 ha mantenuto intatto il suo fascino e non è stato interessato da nuova urbanizzazione. Poi la buona volontà di alcuni abitanti ha colto precise opportunità e Santo Stefano di Sessanio è diventato un fenomeno più unico che raro. Amministrazione, ristoratori, agricoltori hanno iniziato a lavorare in un’unica direzione e, complice la bellezza del paesaggio e la qualità dei prodotti della terra, è esploso un fenomeno turistico. Nel 2004 la prima svolta: il paese, con poco più di sessanta abitanti, era attrezzato per ospitare 55 turisti: un intero pullman. Oggi si contano più di 200 posti letto e 35.000 presenza l’anno. E nel 2004 ha avvio anche un altro fenomeno. L’imprenditore italo-danese Daniele Kihlgren crea uno dei primi alberghi diffusi d’Italia. Prima della pandemia a Santo Stefano di Sessanio arrivavano pullman con turisti da tutto il mondo. Nei nove ristoranti del paese si trovano solo prodotti locali, soprattutto la lenticchia, in questo modo valorizzata e promossa. Ciò permette a Ettore e agli altri agricoltori di poter mantenere un prezzo adeguato ad affrontare le difficoltà delle coltivazioni in montagna. La resistenza degli agricoltori è resa possibile anche da un sistema di “banca delle ore” grazie alla quale il mutuo aiuto diventa una risorsa inestimabile. Le innovazioni tecnologiche, anche frutto della preparazione di Ettore, hanno permesso di impiegare molta meno manodopera nel lavoro dei campi. Oggi Ettore può raccogliere da solo 7 ettari di lenticchie, la generazione dei suoi nonni raccoglievano un ettaro impiegando il lavoro di due famiglie.
Non mancano le difficoltà. La prima fra tutte rappresentata dalla fauna selvatica del parco nazionale del Gran Sasso in cui si trova il paese. Si tratta del primo parco antropizzato in Italia ma la convivenza tra animali e attività agricole e sempre più complessa. Ettore e gli altri produttori vivono sempre l’angoscia di poter perdere da una notte all’altra tutto il raccolto di una stagione. Purtroppo la situazione è lo specchio di un conflitto mai risolto tra l’ambientalismo cittadino e chi la montagna la vive e lavora. Prezioso nel corso della serata l’intervento su questo tema del professore Annibale Salsa che ha sottolineato l’importanza di preservare il paesaggio, inteso come incontro tra natura e cultura, e la biodiversità che a volte può essere messa in pericolo dalla fauna selvatica. Ettore ha così raccontato esperienze diretta delle contraddizioni che questo approccio ai sistemi dei parchi nazionali causa. L’assurdo dei risarcimenti per i raccolti persi, la sparizione delle specie di uccelli che nidificano a terra, gli equilibri naturali distrutti e invertiti.
La pandemia ha ricordato agli abitanti del paese il valore dell’esperienza di turismo territoriale che sono stati in grado di creare, il valore delle produzioni locali e del lavoro di comunità. L’accoglienza a Santo Stefano non è fatta da professionisti del turismo ma da ritornanti con formazioni diverse. Ma proprio per questo è autentica e dà ai visitatori una reale esperienza.
I progetti di Ettore per i prossimi anni si scontrano innanzitutto con i pericoli legati alla fauna selvatica, solo riuscendo ad affrontarli in modo scevro da ideologie saranno risolti e l’attività degli agricoltori nel parco nazionale potrà proseguire. Nel futuro ci sono progetti per un mercato contadino, fattorie didattiche, anche legate all’agricoltura sociale.