top of page

Intervista al geografo Franco Farinelli

Grazie a il T quotidiano ogni secondo e quarto venerdì del mese, Slow Food Trentino cura a partire dal 14 febbraio 2025 una rubrica sulla pagina Terra Madre. Questo articolo è stato pubblicato l'11 aprile 2025.



Franco Farinelli con Michele Nardelli durante l'intervento al MUSE del 14 aprile 2025 organizzato da Slow Food
Franco Farinelli con Michele Nardelli durante l'intervento al MUSE del 14 aprile 2025 organizzato da Slow Food

Lunedì 14 aprile il geografo Franco Farinelli sarà al MUSE per presentare il suo ultimo libro “Il paesaggio che ci riguarda. Un progetto collettivo, un metodo sovversivo”. L’incontro è stato organizzato in collaborazione con il Touring Club Editore, creando una rete di realtà che si occupano, a vario titolo, di tematiche che hanno a che fare con il paesaggio. Oltre a Slow Food Trentino Alto Adige, sostengono l’iniziativa la sede di Trento dell’AIIG Associazione italiana insegnanti di geografia, GeCo Centro Geo-Cartografico di studio e documentazione, l’Ordine degli Architetti e dei Paesaggisti della provincia di Trento, Nutrire Trento, Italia Nostra, TSM STEP Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio. L’autore dialogherà con lo scrittore trentino Michele Nardelli. Abbiamo incontrato il grande geografo, che ha insegnato all’Università di Bologna, Ginevra, Berkeley e Parigi, per un’anticipazione dei temi che saranno trattati.

 

Nei Suoi saggi ha spesso ricostruito il percorso dell’idea di paesaggio che si trasforma da concetto di natura estetica e sentimentale in concetto scientifico, passando dalla letteratura artistica e poetica alla geografia. Il sottotitolo del suo ultimo libro “un progetto collettivo, un metodo sovversivo” ne evidenzia anche la dimensione politica, dove si originale tale aspetto?

 

Il concetto di paesaggio come lo intendiamo oggi nasce con Alexander von Humboldt, aristocratico tedesco di inizio Ottocento il quale ha la consapevolezza che è in corso un cambiamento epocale che porterà la borghesia, sull’esempio di quanto già avvenuto in Francia con la Rivoluzione, a prendere il potere. Per Humboldt la borghesia arriva sprovveduta a questo compito storico, le manca cioè la necessaria conoscenza del mondo. E per questo Humboldt elabora una strategia conoscitiva volta a promuovere il cambiamento politico, proprio partendo dalla raffigurazione del paesaggio presente nei quadri appesi alle pareti di ogni casa borghese per introdurre nella cultura civile la conoscenza scientifica del mondo. Il suo obiettivo, da aristocratico progressista, è strappare la borghesia da un atteggiamento semplicemente contemplativo per dotarla di un sapere in grado di garantirle il compimento del proprio destino storico: il dominio della Terra attraverso la sua conoscenza. Il paesaggio era l’unica immagine della natura allora conosciuta dalla borghesia, perciò Humboldt decide di partire da essa per trasformarne dall’interno il senso, in funzione del compito storico riservato a quest’ultima: il governo delle cose del pianeta.

 

Nella chiusura del suo libro “L’invenzione della Terra”, Lei rivolge un appello, quello di iniziare a reinventare la Terra stessa. Slow Food parla da più di 20 anni di Terra Madre, intesa come connessione delle comunità del cibo che si prendono cura degli ecosistemi, dei suoli, delle acque, della biodiversità e basano il loro agire nella ricerca di un’armonia con il pianeta. Può essere questo uno dei ripensamenti della nostra Terra?

 

A partire dalla fine degli anni Sessanta la Rete ha messo in crisi il concetto archetipo della realtà ereditato dalla modernità: lo spazio. La rete non ha mappe. Lo spazio, se esiste, ha una funzione residuale. È un passaggio radicale che non abbiamo ancora completamente elaborato. Tutto quello cui assistiamo oggi è una tardiva presa d’atto dei grandiosi stravolgimenti causati dalla Rete.  È necessario reinventare la Terra stessa, attraverso altre logiche e altri modelli.

 

Quattro anni fa Lei è intervenuto nella conferenza di apertura del Congresso di Slow Food Italia dal titolo “La sfida di un destino comune”. La parola chiave del suo intervento di allora era “dismisura”, cosa significa questo concetto ed è attuale anche oggi?

 

Certo. Siamo nel pieno dell’età della dismisura in quanto le misure cui eravamo abituati non valgono più niente. Si crede che la mappa sia la copia della Terra senza accorgersi che è vero il contrario: è la Terra che fin dall’inizio ha assunto, per la nostra cultura, la forma e la natura di una mappa. Ma la globalizzazione oggi significa che non è più possibile contare, nel rapporto con la realtà, sulla potentissima mediazione cartografica che, riducendo ad un piano la sfera terrestre, ha fin qui evitato di fare i conti con la Terra così come essa davvero è: un globo. Il mondo è una sfera, non soltanto ha tre dimensioni e non due, ma non è riconducibile sotto ogni profilo a una mappa. La globalizzazione implica il riconoscimento della natura sferica della realtà.

 

Una delle immagini del suo ultimo libro ci propone un viaggiatore all’epoca della prima rivoluzione industriale scrutare un paesaggio e costatare che tra il funzionamento del mondo e quel che è visibile vi è sufficiente corrispondenza. Più di un secolo dopo, a inizio Novecento, compiuta la seconda rivoluzione industriale, un secondo viaggiatore registra che questa traccia di connessione è più sottile. Si perde ogni corrispondenza tra il funzionamento del mondo e quello che è visibile all’osservatore. Ai giorni nostri un terzo viaggiatore nello stesso luogo non potrebbe riferirsi a quasi nessun indizio per giudicare l’interdipendenza tra le cose che vede. E se questo viaggiatore fosse davanti a un paesaggio montano di oggi cosa vedrebbe?

 

L’opposizione tra pianura e montagna appartiene all’origine della cultura occidentale, e la supremazia di quella su questa è connessa già al sorgere delle prime città. È raro trovare un esempio di sottomissione della pianura alle ragioni o esigenze economiche delle montagne. Come è raro trovare Stati Nazione montani. Non è un caso che quella che si considera la scoperta della montagna avvenga negli anni in cui si affermano gli Stati nazione centralisti. Lo stato moderno deve essere continuo, omogeneo ed isotropico, deve dunque possedere le tre proprietà che nella geometria euclidea appartengono all'estensione. Ciò significa che ci deve essere una continuità territoriale, una omogeneità di lingua e di religione, e una capitale a cui tendere. Lo stato moderno è costruito sulla staticità, lo dice la parola stessa, è qualcosa che non si muove, “statico”, mentre i soggetti sono mobili. La montagna invece ci parla di movimento, pensiamo ai fenomeni del nomadismo nelle Alpi e negli Appennini ma anche in Afghanistan e nei monti iraniani. Ci insegna che il futuro è mobile in forme che sono ancora tutte da costruire.

 

 Articolo pubblicato su il T Quotidiano, venerdì 11 aprile 2025 nella rubrica Terra Madre.

 

 
 
 

Comments


@ 2025 Slow Food Trentino Alto Adige Südtirol

economia-solidale.jpg
bottom of page