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Gli osti, custodi del cibo locale (da il T Quotidiano)

SlowFoodAltoAdigeSüdtirol

Grazie a il T quotidiano ogni secondo e quarto venerdì del mese, Slow Food Trentino cura a partire dal 14 febbraio 2'25 una rubrica sulla pagina Terra Madre.


Esiste una mappa del Trentino alternativa, una ramificazione di percorsi nei sistemi locali del cibo che si inerpicano nelle valli e che hanno il proprio fulcro nelle osterie. In questi luoghi, punto di riferimento da generazioni o spesso iniziative recenti, resiste la ristorazione informale legata al territorio, animando e tenendo viva una rete di relazioni che intreccia le filiere e i saperi immateriali, con uno sguardo di assoluta modernità verso il futuro. Sono un presidio dal forte valore culturale, economico e sociale che Slow Food racconta e valorizza nella guida Osterie d’Italia e nel progetto dei Cuochi dell’Alleanza. Un modello che sempre più dovrà essere preso ad esempio per una ristorazione capace di essere sostenibile economicamente, generando valore per i luoghi, coltivando il paesaggio e le relazioni, tutelando la biodiversità montana, i sapori e saperi della cultura delle Terre Alte.


Alcuni osti trentini alla presentazione della Guida Osterie 2025 (da sx: Sergio Valentini, Fiorenzo Varesco, Luca Zotti, Alessandro Suffritti con Aurora e Matteo, Riccardo Bosco e i curatori della guida Eugenio Signoroni e Francesca Mastrovito)
Alcuni osti trentini alla presentazione della Guida Osterie 2025 (da sx: Sergio Valentini, Fiorenzo Varesco, Luca Zotti, Alessandro Suffritti con Aurora e Matteo, Riccardo Bosco e i curatori della guida Eugenio Signoroni e Francesca Mastrovito)

La fotografia del sistema osterie oggi ci restituisce un momento di criticità, con un 2024 che ha portato chiusure eccellenti e cambi di gestione, sintomo di un modello che sta elaborando la propria strada per affrontare le sfide del presente. Difficoltà legate al turismo (che in alcune aree straborda mentre in altre è solo un passaggio troppo veloce), alle mutate abitudini dei residenti, al ricambio generazionale (sia nella dimensione famigliare che al suo esterno), alla sostenibilità economica, e spesso anche alla difficile relazione tra gestione e proprietà immobiliare. Queste dinamiche si inseriscono nell’ampio perimetro dell’attrattività di questa professione con riflessi immediati sulla disponibilità di collaboratori e, sul lungo periodo, di imprenditori in grado di subentrare nella gestione. Un tema che si lega a doppia mandata a quello della formazione. Spesso vi è una polarizzazione tra la necessità di soddisfare la domanda delle destinazioni interessate dai fenomeni di overtourism e la tensione verso un modello di fine dining internazionale che i numeri ci dimostrano non attecchire nella nostra provincia. Prospettive che portano a muoversi tra una tradizione stereotipata e semplificata e una cucina creativa e spettacolarizzante (riservata a pochi).  Osti e ostesse, al contrario, tracciano una strada e una visione diversa, auspicando innanzitutto che la formazione si concentri di più sulla conoscenza dei produttori di piccola scala. Questi hanno assoluto bisogno del mondo della ristorazione per poter continuare ad esistere in una dimensione attenta alla qualità e alla ricerca di un equilibrio con le risorse naturali e gli ecosistemi.  Il sistema osterie insegna a relazionarsi con i sistemi locali del cibo, elaborando una cucina che sappia dialogare con la stagionalità, le limitate disponibilità di prodotto, con le difficoltà logistiche e la gestione di costi che riconoscano il valore del cibo. La formazione di osti e ostesse passa anche dall’appropriarsi di dinamiche proprie dell’osteria, dall’accoglienza famigliare e informale alla capacità di farsi narratori e ambasciatori di un territorio. È necessario, in sostanza, ripensare una formazione in grado di dare valore e attrattività alla figura dell’oste come riferimento per le future generazioni di ristoratori. Così facendo si tradurrà in azione anche la tensione verso i grandi temi che il settore deve affrontare, dando significato a concetti ormai abusati come sostenibilità e autenticità.


L’accogliente saletta di Mas del Saro a Sant’Orsola
L’accogliente saletta di Mas del Saro a Sant’Orsola

Nelle valli trentine si osserva una certa vitalità, soprattutto nelle aree in cui i ristoratori hanno saputo fare sistema e dare vita a progetti comuni di valorizzazione del prodotto e del territorio. È il caso delle Valli di Non e Sole che testimoniano come amicizia e alleanza tra realtà diverse riesca a sostenerle e a portare un vantaggio condiviso. Così come in Valsugana permangono dei riferimenti importanti, anch’essi in grado di interpretare ciò che nel XXI secolo deve essere una osteria e cioè un’animatrice dei sistemi locali del cibo. Attorno a questi luoghi si sviluppa una rete di relazioni che stimolano il mondo agricolo, caseario e del foraging, contribuendo a un turismo lento e consapevole. Una rete capace di guardare al turista senza però dimenticarsi dei residenti.  Queste realtà sono quasi del tutto assenti nelle aree urbane, dove sono fortemente richieste e dove il potenziale di mercato ne suggerisce un sicuro successo. Allo stesso modo sono mosche bianche le iniziative caparbie nello scegliere questo modello nei luoghi di maggior afflusso turistico, dove dominano i fenomeni di gentrificazione (che rendono difficilmente sostenibili i costi) e le richieste di un turismo vorace.


Il ristorante Boivin di Levico Terme, l’oste Riccardo Bosco è Oste dell’anno 2025
Il ristorante Boivin di Levico Terme, l’oste Riccardo Bosco è Oste dell’anno 2025

La varietà di modelli in cui si declina l’osteria in Trentino lascia ben sperare che sarà possibile trovare la visione per superare le criticità. Oggi si possono chiamare osterie alcuni rifugi, cucine di albergo, osterie moderne, bistrot, agriturismi, aziende agricole. Perfino esperienze nomadi come il food truck che Paolo Betti, coordinatore dei Cuochi dell’Alleanza per il Trentino, ha voluto chiamare Casa della biodiversità. In cucina questa pluralità è accumunata dalla capacità di mettere nei piatti l’elaborazione di una cultura gastronomica frutto degli infiniti passaggi nel crocevia che da secoli mette in comunicazione il mondo mediterraneo con quello alpino ed europeo. La loro diversità può essere letta attraverso un cifrario che riconduce ognuna nel ruolo che ricompre nel proprio sistema locale del cibo.

Una buona occasione per ridefinire le prospettive del sistema osterie è il riconoscimento quale “Oste dell’anno” conferito a Riccardo Bosco del Ristorante Boivin di Levico. Il 2025 vede quindi un oste e un locale trentino indicati a livello nazionale come espressione di riferimento dei valori di accoglienza, relazione e qualità nella ristorazione. Una responsabilità e un patrimonio da condividere cercando di creare contaminazione con il mondo della formazione, del turismo e i tessuti economici.


Ciasa do Parè a Soraga in Val di Fassa
Ciasa do Parè a Soraga in Val di Fassa

Gli osti oggi in Trentino incarnano una missione fondamentale. Rendono desiderabile che tutto ciò che costituisce e contraddistingue la montagna continui ad esistere. Contrastano l’omologazione dei gusti e dell’estetica che ha invaso anche le più remote valli dolomitiche, sono un argine alla spersonalizzazione del servizio, frenano l’avanzata di un turismo massificato che consuma i luoghi, si oppongono alla scomparsa di produzioni minacciate da crisi climatica, abbandono e nuove economie, sono un antidoto contro la sterilizzazione di idee e materia prima. In questa dimensione l’attrattività della professione può essere riscoperta e dare linfa e entusiasmo a nuovi progetti. Gli osti, in questo senso, rientrano nell’avventura di un cambiamento culturale in grado rendere desiderabile la conversione ecologica, così come auspicato da Alexander Langer proprio in terra alpina più di trent’anni fa. Assumono quindi un ruolo di assoluto rilievo nella costruzione di un futuro (e non solo di un cibo) più buono, pulito e giusto.


Articolo pubblicato su il T Quotidiano, venerdì 14 febbraio nella rubrica Terra Madre.

 

 
 
 

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