Grazie a il T quotidiano ogni secondo e quarto venerdì del mese, Slow Food Trentino cura a partire dal 14 febbraio 2025 una rubrica sulla pagina Terra Madre. Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2025

Si è svolta nei giorni scorsi a Bologna la Slow Wine Fair, un appuntamento che non si limita a fare il punto su un segmento sempre più importante del mercato del vino. Il curatore dell’omonima guida, Giancarlo Gariglio, ha infatti sottolineato come al centro di questa manifestazione vi sia un tema politico di grande rilevanza e attualità: «far sì che la filiera vitivinicola diventi uno dei settori produttivi a minor impatto ambientale». Solo in apparenza una contraddizione, e soprattutto uno stimolo per rilanciare la comunicazione e la visione di un settore che, oltre al ruolo economico, svolge anche quello culturale, turistico, scientifico e ambientale
Nella presentazione di Slow Wine Fair si è ribadito che «il vino, consumato con moderazione, è l’unica bevanda alcolica che ha il potere di far bene al paesaggio, grazie a vignaiole e vignaioli che sono sentinelle del territorio; all’ambiente, attraverso un’agricoltura sostenibile basata sulla rigenerazione del suolo, ma anche alla società, garantendo un rapporto virtuoso con i dipendenti e con gli abitanti dei villaggi di collina, che spesso sarebbero abbandonati se non esistesse la viticoltura».

Anche una rappresentanza del sistema vitivinicolo trentino ha partecipato alla fiera bolognese, insieme a più di mille cantine provenienti da 30 paesi del mondo. Giunta alla sua terza edizione, la manifestazione ha coinvolto migliaia di operatori del settore nelle numerose conferenze e masterclass sul tema della rigenerazione dei suoli, sull’equilibrio degli ecosistemi e sull’impatto del packaging. La delegazione trentina rappresenta una selezione dell’affresco che ogni anno la guida Slow Wine realizza anche nella nostra provincia. Raffaele Guzzon ne ha coordinato i lavori negli ultimi 10 anni. Prima di passare il testimone a Fabrizio Cucchiaro per l’edizione 2026, fa il punto della situazione trovata nelle visite realizzate cantina per cantina insieme ai numerosi collaboratori. «Nella consapevolezza che il Trentino vitivinicolo vive di una dualità, che rappresenta la sua forza ma anche la sua criticità. Il sistema è imperniato su un comparto cooperativo predominante in termini di base sociale, ettari di vigneti e numeri produttivi, affiancato da cantine private di dimensioni decisamente molto piccole. Pur senza tralasciare alcune cooperative degne di attenzione, l’osservatorio di Slow Wine pone la propria attenzione sul comparto delle cantine private. È un panorama vasto e variegato, composto da cantine storiche, fautrici di qualità e apripista per le nuove generazioni: tali cantine confermano affidabilità e concretezza. A queste si affiancano le new entry, fatte di giovani ritornati a lavorare le vigne di famiglia, dando vita a nuovi protagonisti molto interessanti. I loro vini stanno regalando slancio e originalità al racconto del Trentino: anche se talvolta sono ancora alla ricerca di un’identità chiara, meritano di essere assaggiati e seguiti. Sono frutto di un’attenzione capace di coniugare sostenibilità economica con una visione del territorio e della sua identità». Produzioni troppo spesso insidiate dalla convivenza sul mercato, con il medesimo riferimento geografico ma con identica denominazione di vendita, di vini di alto valore e di prodotti delle grandi cooperative venduti a prezzi molto bassi nella grande distribuzione (in Italia e all’estero). Ciò genera una evidente difficoltà nel comunicare il valore del prodotto e l’identità del territorio.
«Dagli anni Settanta a oggi - prosegue Guzzon - la base ampelografica trentina ha subito una profonda rivoluzione: una terra inizialmente dedicata alla produzione di uve rosse vede oggi dominare, con più del 70% della produzione, due uve bianche, lo Chardonnay e il Pinot Grigio. Nonostante ciò, il Trentino si conferma terra da eccellenti vini rossi, fra cui il Teroldego e i tagli bordolesi. Il primo ha ormai raggiunto un livello elevato in tutte le sue declinazioni: dai vini d’annata, perché no, rosati, fino alle riserve, è sempre possibile assaggiare vini di livello assoluto, ma con un’impronta territoriale ben definita. Nel caso dei tagli bordolesi il profilo è sicuramente più “aristocratico”, ma non mancano interpretazioni moderne che premiano già da ora la bevibilità di vini destinati a evolvere magnificamente. L’edizione 2025 della guida ha registrato un exploit del Pinot Nero, varietà premiata dal mercato, sulla quale occorrerà lavorare nei prossimi anni per trovare una “via trentina” convincente. Fa purtroppo da contraltare il dileguarsi del Marzemino e dell’Enantio, due vitigni identitari della Vallagarina, che ci auguriamo non scompaiano, sopraffatti da logiche meramente commerciali. Fra i vini bianchi un posto di onore va a quelli da Nosiola, varietà moderna dalla bassa gradazione alcolica naturale, che dà vita a vini affascinanti, a cui si affianca il Manzoni Bianco, che ha trovato sulle colline di Lavis un habitat ideale. Ampio e quanto mai variegato è il comparto della spumantistica, che si trova ad affrontare la sfida del cambiamento climatico, nel tentativo di coniugare al meglio la freschezza richiesta ad uno “spumante di montagna” con la maturità delle uve necessaria a produrre grandi bollicine».
L’importanza, ma anche i rischi, che caratterizzano le produzioni autoctone trentine sono ben rappresentati dalla presenza sul territorio di due Presìdi Slow Food. In Italia si contano oggi più di 350 Presìdi, circa il doppio nel resto del mondo. Si tratta di un progetto che da oltre vent’anni Slow Food porta avanti per garantire un futuro alle comunità che custodiscono produzioni, saperi, paesaggi e biodiversità. Di questi, solo 11 Presìdi riguardano la filiera del vino dalle Alpi alla Sicilia, e solo un’altra decina al di fuori dei confini nazionali. Il Vino Santo Trentino e l’Enantio a piede franco Presìdi Slow Food sono stati quindi riconosciuti come due autentici giacimenti culturali, da far conoscere e sostenere.

A questi temi si lega strettamente la principale attività di Slow Food sui territori: la formazione. Questione sempre più rilevante per il mondo del vino, soprattutto in una fase di contrazione dei consumi legata a una nuova identità del comparto. In questo contesto le produzioni di qualità possono emergere vincitrici, a patto di ampliare il concetto stesso di qualità: non solo l’imprescindibile aspetto organolettico, il “buono”, ma anche il “pulito” (sostenibilità ambientale) e il “giusto” (equità sociale e corretto rapporto qualità-prezzo). Un percorso che riguarda la crescita di una generazione di cittadini educata a “bere bene”, in grado cioè di leggere il vino per tramite di sensi educati e coltivati, ma anche consapevole che la filiera non può esimersi dall’inserirsi nelle sfide della transizione ecologica. Su questo fronte, è fondamentale che la comunicazione sia chiara e inequivocabile nel riconoscere che la crisi climatica rappresenta una minaccia per il settore. Troppo spesso si parla di “cambiamenti climatici” evidenziandone le opportunità (nuove varietà, riscoperta della vocazione di alcune aree), ma questa narrazione rischia di essere fuorviante e pericolosa. Come la storia ci insegna, la retorica del “ha fatto anche cose buone” può avere conseguenze distorte. Inserirsi negli spazi che la crisi climatica sta aprendo può avvenire solo nella strategia complessiva di mitigarla e non di assolverla o, peggio, di trarne qualche effimero ed individuale giovamento. È un destino comune in cui cittadini, con le loro scelte, e filiere agricole devono concentrare la propria azione. Un plauso per l’impegno in questo senso va riservato alla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti che con il reportage “Gradi. Il vino italiano al tempo della crisi climatica” afferma il doppio ruolo del vignaiolo: custode del territorio e al contempo prima vittima degli sconquassi climatici dell’Antropocene.

Il lavoro di Slow Wine non si limita a descrivere le realtà vitivinicole trentine più attente all’impronta ambientale del proprio operare. Come sottolinea Federica Randazzo, vice curatrice nazionale, «la nostra è una presenza in costante contatto con le aziende, capace di stimolare apertura e discussione. Le visite che ogni anno sono realizzate nelle aziende agricole sono soprattutto un’occasione di confronto con i produttori e le produttrici sui principi che abbiamo raccolto nel Manifesto per il vino buono, pulito e giusto che traccia una visione di futuro».
Articolo pubblicato su il T Quotidiano, venerdì 28 febbraio 2025 nella rubrica Terra Madre.
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